INTERVISTA Di Ilenia Culurgioni. (da rassegna stampa da Orizzontescuola)
Merito ed esperienza: da qui bisognerebbe partire per reclutare personale qualificato, sia dirigenti scolastici sia docenti. E’ un concetto che ritorna nell’intervista rilasciata a Orizzonte Scuola da Giuseppe D’Aprile, segretario generale della Uil Scuola Rua, che ha messo insieme i numeri dei precari e i costi per stabilizzarli, arrivando alla conclusione che per assumerli servirebbero circa 180 milioni di euro e soprattutto la volontà politica.Avete criticato la bozza del concorso per Ds nella parte in cui si dice che a parità di punteggio il titolo di preferenza sarà a favore del genere maschile. Rivendicate una revisione. Cosa chiederete oltre alla questione di genere?
Abbiamo criticato la norma che prevede ciò e che ci fa fare un passo indietro di anni. L’esperienza, le capacità, le attitudini, le professionalità del personale della scuola non si possono misurare in base al sesso trincerandosi nell’applicazione di una disposizione normativa nata per il pubblico impiego.
Dimenticando ancora una volta che dirigere una scuola non è equiparabile alla dirigenza pubblica. Abbiamo già chiesto che la preferenza venga eliminata dal testo.
Resta la nostra perplessità sul numero dei posti disponibili per i concorsi nei tre anni scolastici 2023/2024, 2024/2025 e 2025/2026 soprattutto per le regioni del nord, in cui la piaga delle reggenze è ancora elevatissima anche dopo le immissioni in ruolo di quest’anno. Servono tempi certi per una procedura concorsuale che nel passato ha impiegato tempi lunghissimi. La pubblicazione dei bandi deve essere immediata perché il rischio è quello di iniziare il nuovo anno scolastico senza aver nominato i nuovi Dirigenti Scolastici.
Si prevede un aumento stipendiale di circa 200 euro; a dicembre l’assegno per l’indennità di vacanza contrattuale: pensate si stia andando nella giusta direzione per la valorizzazione del personale scolastico partendo appunto da retribuzioni adeguate?
Si tratta di una anticipazione che comunque verrà riassorbita al momento della sottoscrizione del CCNL relativo al triennio 2022-2024.
È sempre un fatto positivo quando si interviene per valorizzare il personale della scuola soprattutto dal punto di vista economico. Interventi che però, in questo caso, lasciano fuori dalla platea dei beneficiari i precari che comunque avrebbero diritto allo stesso modo di incentivi economici dal momento che
contribuiscono in larghissima misura, al pari del personale di ruolo, a garantire la funzionalità delle scuole.
È chiaro però che queste misure non sono assolutamente sufficienti in quanto servono investimenti strutturali e duraturi nel tempo a partire dalla prossima manovra finanziaria. Serve un riconoscimento economico e sociale. Va recuperato il rispetto, lo diciamo da tempo, facendo molta attenzione a parlare di scuola con superficialità, trattandola bene anche attraverso una maggiore considerazione del personale che vi lavora.
La scuola prepara gli studenti alla scoperta del mondo, sviluppando in loro il pensiero libero e nello stesso tempo critico. Al riconoscimento sociale è necessario affiancare anche quello economico.
Valorizzazione economica e sociale vanno di pari passo. La proposta dal Ministro Valditara formulata, a Saragozza, agli altri Ministri Europei dell’istruzione – quella di lasciare la scuola fuori dai vincoli di bilancio – ci trova d’accordissimo.
Una nostra rivendicazione sulla quale è necessario lavorare insieme e insistere per realizzarla. Lo sosteniamo da sempre: sulla scuola non si fa cassa, è necessario investire.
Avete fatto i calcoli sui precari e su quanto ci vorrebbe, in termini economici, per stabilizzarli. Come si potrebbe attuare?
Una scuola con oltre 200mila supplenti è un danno per i precari ma soprattutto per gli alunni ai quali non viene garantita la continuità didattica. In Lombardia 25mila posti da dare a supplenza. In Piemonte e Veneto, 20mila supplenti. Nel Lazio i supplenti sono circa 12mila, mentre al Sud prendendo come esempio Sicilia, Campania e Puglia, ci attestiamo rispettivamente a quota 13mila, 11mila e 10 mila. Migliaia di posti in deroga sul sostegno anche in assenza di docenti specializzati. Avevamo proposto al ministro Valditara – all’indomani del nostro congresso del 2022 – una soluzione: trasformare tutti i posti vacanti da organico di fatto in organico di diritto. Il tutto, quindi, stabilizzando 250 mila precari, costerebbe 180 milioni di euro, circa 715 euro a precario.
Inoltre, serve un intervento legislativo che sblocchi definitivamente il numero di assunzioni del personale ATA, spesso dimenticato e sempre più investito di compiti e responsabilità a volte non previsti dagli obblighi contrattuali (es. l’utilizzo di piattaforme digitali). Non è possibile assistere ogni anno ad immissioni in ruolo irrisorie rispetto al numero di personale collocato in pensione. Anche il personale ATA rappresenta un pezzo fondamentale del mosaico della comunità educante e contribuisce, insieme al personale docente e dirigente, al buon funzionamento delle istituzioni scolastiche. Senza il loro supporto, le scuole non potrebbero funzionare.
Il tutto rappresenterebbe sicuramente un volano di crescita per l’intera economia del paese. Basta la volontà politica.
70 mila assunzioni entro il 2024: si riuscirà a realizzare l’obiettivo del PNRR?
Entro il 2024 terminerà la cosiddetta fase transitoria nella quale si dovranno espletare ben due concorsi che oltretutto sono inevitabilmente legati anche ai prossimi percorsi abilitanti di cui ancora non vi è una concreta applicazione. Infatti, i docenti che risulteranno vincitori delle due procedure concorsuali dovranno obbligatoriamente accedere ai percorsi abilitanti per acquisire un certo numero di CFU prima di essere immessi in ruolo.
Per cui, i tempi stringono e la procedura è molto articolata e rischia di non concludersi entro i termini auspicati. Per tali motivi noi abbiamo rivendicato da tempo che, se davvero si vogliono coprire tutti i posti oggi vacanti e disponibili e rispettare poi il turn over, è innanzitutto necessario scorrere tutte le graduatorie già esistenti, come quella degli idonei del concorso 2020 che verranno precedute nelle prossime assunzioni dai vincitori dei prossimi concorsi. Dopodiché bisogna considerare un altro canale di assunzione, che è quello delle GPS di I fascia, in cui è inserito personale già abilitato su posto comune o specializzato sul sostegno. Se vogliamo dare il giusto valore sociale al personale della scuola per “recuperare l’autorevolezza persa” del personale, è in primis obbligo dell’Amministrazione attivare procedure concorsuali eque, chiare e ben definite che diano certezze a chi vi partecipa, ma anche quello di valorizzare il personale che vanta titoli e diritti di graduatoria, al fine di evitare disparità di trattamento tra i colleghi e nell’interesse della comunità educante tutta.
Attesa anche per i percorsi abilitanti: ritiene siano lo strumento giusto per avere personale abilitato, a prescindere dai costi?
I percorsi abilitanti per i docenti del I e del II grado sono attesi da più di 10 anni. È bene anche ricordare l’inutile tentativo che c’è stato di bandire un concorso abilitante per i docenti con almeno 3 anni di servizio e che non è stato mai realizzato. Quel concorso ha richiesto una tassa di segreteria pari a 15 euro – di cui non c’è traccia – versata da ciascun candidato. Ancora ad oggi manca una risposta chiara del Ministero, più volte da noi sollecitato, su come e se verranno risarciti i candidati dei 15 euro già versati allo Stato. Per quelli che saranno i prossimi percorsi abilitanti registriamo intanto l’eccessività dei costi: i tetti massimi di 2500 euro e di 2000 euro indicati nel DPCM, a seconda delle diverse casistiche relative all’acquisizione di 60, 36 o 30 CFU, sono sproporzionati e discriminanti, come se a monte si volesse attuare una sorta di selezione tra chi ha le possibilità economiche per accedervi e chi invece non le ha. E poi, resta il problema dell’accesso iniziale a questi percorsi che non è stato ancora chiarito: se davvero l’obiettivo è quello di abilitare il maggior numero possibile di docenti, come da noi auspicato, non ci può essere nessuna selezione in ingresso, ma solo al termine del percorso. Per cui, se il numero dei docenti da abilitare per una specifica classe di concorso eccede il numero dei posti disponibili presso le Università, noi siamo contrari ad un test selettivo di ingresso. Su tale aspetto abbiamo più volte suggerito la soluzione già attuata per i percorsi abilitanti del 2013 (i cosiddetti PAS) quando fu attivato un ingresso contingentato che, secondo noi, si potrebbe basare sull’anzianità del servizio.
Per cui, lo strumento è quello giusto, ma non vorremmo che, sia la questione economica, che la gestione di questi percorsi affidata esclusivamente alle università, rappresentassero un ostacolo.
L’obiettivo deve essere quello di non disperdere l’esperienza e di valorizzarne il “merito” maturato sul campo, non scoraggiando i docenti motivati e capaci i quali aspettano ormai da troppo tempo risposte concrete per il loro futuro.
Aumentano i certificati di alunni con disabilità, dall’altra, specialmente in alcune regioni, non ci sono i docenti di sostegno specializzati e quindi si attribuiscono le supplenze a personale non specializzato. Perché non si riesce a risolvere questo problema secondo lei?
Queste sono le conseguenze di misure dettate da politiche ragionieristiche con le quali ci si preoccupa di restare nel quadrato dei perimetri di gestione della finanza pubblica, senza curarsi delle conseguenze e delle priorità. Paradossale, ad esempio, che l’Ordinanza Ministeriale che disciplina le supplenze non permette ai docenti specializzati – già incusi in graduatoria – di produrre domanda di messa a disposizione in altra regione dove si assumono docenti senza titolo di sostegno. E’ necessario eliminare il numero chiuso delle università per l’accesso a tali corsi e mettere in relazione i posti con il fabbisogno a livello nazionale. Solo 21.000 ammissioni ai corsi universitari di specializzazione, tra l’altro geograficamente non funzionali alle reali esigenze dei territori, a fronte di un fabbisogno – 90.000 posti in deroga sul sostegno – che non rispecchia appunto l’esigenza di un intero paese. Solo così si può dare una risposta concreta ad una esigenza sempre più evidente, limitando, il più possibile, che l’alunno con disabilità sia assegnato ad un docente senza titolo.